In letteratura sono presenti molte definizioni. Ad esempio, il gruppo di lavoro sulla QdV dell’OMS l’ha definita nel 1995 come: «La percezione dell’individuo della propria posizione nella vita nel contesto dei sistemi culturali e dei valori di riferimento nei quali è inserito e in relazione ai propri obiettivi, aspettative, standard e interessi» (WHOQOL, The World healt organization quality of life assessment, 1995).
Al di là delle diverse definizioni, esiste un generale consenso nel considerare la Qualità della Vita un costrutto misurabile con metodi quantitativi e qualitativi e con indicatori di tipo sia generale che soggettivo, multidimensionale e strettamente legato al giudizio personale (Lyons, 2010).
Per quanto riguarda nello specifico le persone con disabilità, è possibile fare alcune considerazioni specifiche, come ad esempio quelle fatte da Schalock (1997) il quale si riferisce alla Qualità di Vita come al grado di soddisfazione nelle principali aree della vita.
È inoltre bene ricordare il meta-modello proposto da Schalock e Verdugo Alonso (2002), con tutte le successive elaborazioni e integrazioni, grazie ai contributi di Claes, Van Loon, Vandevelde, il gruppo dell’Università di Ghent e Clement Ginè e Maria Carbò a Barcellona.In tale modello, la prospettiva della qualità della vita viene rappresentata dall’articolazione di 8 domini: Benessere Fisico; Benessere Materiale; Benessere Emozionale; Autodeterminazione; Sviluppo Personale; Relazioni Interpersonali; Inclusione Sociale; Diritti ed Empowerment.
Sono ancora presenti, tuttavia, aspetti critici da affrontare affinché l’applicazione del concetto di Qualità di Vita generi cambiamenti sociali e migliori le condizioni delle persone con disabilità intellettiva e delle loro famiglie. Ad esempio, la necessità di sviluppare politiche basate sui principi e sulle pratiche volte al miglioramento della qualità di vita; la necessità di basare il sistema dei servizi e dei sostegni sui predittori chiave della QdV, quali l’autodeterminazione, l’empowerment, l’uguaglianza; la necessità di focalizzarsi sulle esperienze e circostanze individuali; la necessità di includere i principi operazionali ed il pluralismo metodologico nella formazione professionale; la necessità di ripensare cosa misurare e la necessità di applicare il costrutto della qualità della vita nei paesi in via di sviluppo.
Il concetto di Qualità della Vita è estremamente importante per le persone con disabilità intellettiva e per il loro Progetto di Vita: tutto ciò che riguarda i servizi, i programmi e la presa in carico, infatti, può essere, sulla base proprio della Qualità della Vita, reso ottimale, con sostegni realmente efficaci ed efficienti, con approcci di programmazione centrati sulla persona, con il coinvolgimento diretto delle persone con disabilità intellettiva e delle loro famiglie nella progettazione, programmazione e valutazione degli interventi basati sull’evidenza.
IL PROGETTO INDIVIDUALE: Legge n. 328/00
La legge n. 328/00 (“Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”) prevede che, affinché si ottenga in pieno l’integrazione scolastica, lavorativa, sociale e familiare della persona con disabilità, si predisponga un progetto individuale per ogni singola “persona con disabilità fisica, psichica e/o sensoriale, stabilizzata o progressiva (art. 3 L. 104/92) ”, attraverso il quale creare percorsi personalizzati in cui i vari interventi siano coordinati in maniera mirata, massimizzando così i benefici effetti degli stessi e riuscendo, diversamente da interventi settoriali e tra loro disgiunti, a rispondere in maniera complessiva ai bisogni ed alle aspirazioni del beneficiario.
Nello specifico, il Comune deve predisporre, d’intesa con la A.S.L, un progetto individuale, indicando i vari interventi sanitari, socio-sanitari e socio-assistenziali di necessita la persona con disabilità, nonché le modalità di una loro interazione.
Attraverso tale innovativo approccio si guarda alla persona con disabilità non più come ad un semplice utente di singoli servizi, ma come ad una persona con le sue esigenze, i suoi interessi e le sue potenzialità da alimentare e promuovere.
Il progetto individuale, infatti, è un atto di pianificazione che si articola nel tempo e sulla cui base le Istituzioni, la persona, la famiglia e la stessa Comunità territoriale possono/devono cercare di creare le condizioni affinché quegli interventi, quei servizi e quelle azioni positive si possano effettivamente compiere.
Ormai da anni Anffas è impegnata affinché sia riconosciuto alle persone con disabilità il diritto alla predisposizione del progetto individuale nella convinzione che ciò rappresenti, se realizzato in modo adeguato, l’unica via possibile per garantire alle stesse rispetto dei diritti, qualità della vita ed inclusione sociale. Ciò ha fatto emergere in modo evidente sia la mancata attuazione della normativa, che la carenza di strumenti efficaci per la redazione del progetto individuale nonché la necessità di sperimentare modalità, prassi e strumenti nuovi e capaci di costruire un nuovo sistema di sostegni e di servizi multidimensionale e centrato sulla persona, con il pieno coinvolgimento della persona e della famiglia. Proprio questa necessità ha portato Anffas Onlus a farsi parte attiva per la sperimentazione di uno strumento ed un approccio altamente innovativo, quali le matrici ecologiche e dei sostegni, per la costruzione dinamica ed interattiva di un progetto individuale basato sui modelli più evoluti di diagnosi clinica e di disabilità, di assessment e valutazione multidimensionale con un approccio bio-psico-sociale, adeguato e verificabile nel tempo, oltre che orientato agli esiti ed efficacia degli interventi.
VITA INDIPENDENTE E INCLUSIONE SOCIALE PER LE PERSONE CON DISABILITÀ
Nella nostra società, l’autonomia, l’autosufficienza e l’autoaffermazione sono considerati punti di riferimento che qualificano e danno “valore” agli individui. Molto spesso tali capacità non vengono attribuite anche alle persone con disabilità, che sono sovente percepite come incapaci, quotidianamente bisognose di essere assistite e molte volte come eterni bambini o come persone che non possono fornire un contributo alla società.
L’affermazione del diritto alla vita indipendente è un lavoro complesso, un insieme di processi da avviare a partire dai primi istanti di vita.
Per garantire realmente il diritto alla vita indipendente è necessario mettere in campo dei veri cambiamenti, anche a livello normativo, a partire dalla revisione del sistema di accertamento della condizione di disabilità. Il diritto alla vita indipendente, soprattutto per le persone con disabilità intellettiva e del neurosviluppo, non si improvvisa, ma va costruita nel tempo, nel “durante noi” in vista del “dopo di noi”.
Il diritto alla vita indipendente e all’inclusione sociale è ben sancito nell’ articolo 19 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità , ratificata dall’Italia con L.18/09, all’interno del quale gli Stati Parti riconoscono il diritto alle persone con disabilità ad essere incluse in maniera piena e partecipe in ogni contesto nella società. Il modello di disabilità basato sui diritti umani porta alla consapevolezza che le persone con disabilità abbiano lo stesso diritto di tutte le altre di “vivere la società” e che affinché tale diritto sia garantito è necessario, da un lato, sostenerle nell’acquisizione di autonomia, autodeterminazione ed indipendenza e, dall’altro, agire sulla società per fare in modo che si modifichi tenendo conto delle diversità umane, in maniera tale da consentire a tutti i suoi membri di parteciparvi in maniera attiva.
“DOPO DI NOI” PER LE PERSONE CON DISABILITÀ
Oggi nel mondo si registra un aumento dell’aspettativa di vita delle persone con disabilità intellettiva rispetto al secolo scorso. L’aumento del numero di persone con disabilità intellettiva anziane apre nuove sfide per la società, i governi, le famiglie, gli operatori e le stesse persone con disabilità al fine di assicurare che la qualità della loro vita non diminuisca nell’età avanzata.
Le persone con disabilità anziane sono spesso oggetto di una doppia discriminazione: per la loro condizione di disabilità e per la loro età. Poiché questa è la prima generazione di persone con disabilità che vive così a lungo, devono ancora essere implementati sistemi e servizi per garantire la loro qualità di vita. Le politiche sociali devono rispondere a questa nuova situazione ed assicurare che adeguati servizi siano ampiamente disponibili ed accessibili.
L’interrogativo delle famiglie di persone con disabilità è: “chi si prenderà cura di mio figlio quando noi non ci saremo più o non potremo più assisterlo?”
Si è molto parlato della legge n.112/2016 (contenente “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive di sostegno familiare”), conosciuta come la legge del “Dopo di Noi, Durante Noi”, ossia come quel provvedimento legislativo che ha introdotto la possibilità di accedere a finanziamenti ed agevolazioni per misure volte a garantire un progetto di vita delle persone con disabilità grave, da continuare anche quando perdano il sostegno familiare.
In tutti questi anni, l’espressione “Dopo di Noi” ha quasi sempre evocato solo la necessità di avere strutture residenziali in cui ricoverare le persone con disabilità al momento della perdita dei propri familiari, concentrando l’attenzione esclusivamente nella realizzazione di quante più strutture possibili che accogliessero quante più persone possibili.
Oggi, però, con la Legge n.112/2016 si sta dando vita ad un nuovo modo di intendere il “Dopo di Noi”, partendo dal riconoscimento che le persone con disabilità non possono, dall’oggi al domani, essere “deportate” in una struttura, a volte anche lontana centinaia di chilometri dal tessuto sociale dove hanno vissuto, e veder spezzato tutto il loro percorso di vita fino a quel momento costruito.
Tutto ciò in attuazione di un percorso di vita, da poter sviluppare, in condizioni di pari opportunità con tutti gli altri, attraverso i giusti supporti e sostegni (modello dei diritti umani).