La sessualità delle persone con disabilità rappresenta un diritto primario come l’inclusione scolastica, sociale e l’inserimento lavorativo. La “Convenzione sui diritti delle persone con disabilità” proclama indirettamente tale diritto in quanto parte integrante della vita nonostante rappresenti ancora un tabù nella nostra società.
Disabilità intellettiva e sessualità: un tabù da abbattere
Quando pensiamo al termine sessualità, inevitabilmente ciò che viene richiamato alla nostra mente è il tema della corporeità, dell’erotismo e del piacere; ma a questa componente più “fisica” se ne aggiunge un’altra, di tipo relazionale, legata al desiderio di incontro e scambio con l’altro, ai sentimenti d’amore e d’affetto. Queste due dimensioni sono intrecciate tra loro e non si può escludere l’una o l’altra.
Ma la sessualità delle persone con disabilità è ancora un tabù, in quanto non allineabile ai modelli dominanti. L’esercizio del sesso, infatti, viene relegato ad una dimensione solo della componente fisica, al di fuori della relazionalità, in stretta associazione con le pratiche di confine dell’igiene personale, delle funzioni corporee e del massaggio.
Diversamente, le persone con disabilità possono amare, essere amati, avere una relazione, sposarsi e avere una famiglia, poiché, contrariamente a quanto si crede, essi non sono "eterni bambini", asessuati e privi di pulsioni. La sessualità, infatti, non è secondaria rispetto ad altri aspetti, come l’integrazione scolastica, sociale e l’inserimento lavorativo. Lavorare sulla sessualità non può prescindere dal lavorare su tutti gli aspetti della personalità a seconda dello sviluppo cronologico e cognitivo.
Il pregiudizio sul diritto di sessualità per le persone con disabilità intellettiva
La “Convenzione sui diritti delle persone con disabilità” è il documento fondamentale che tra i suoi principi generali proclama valori quali il rispetto per la dignità, l’autonomia individuale, la nondiscriminazione, la piena ed effettiva partecipazione e inclusione all’interno della società e le pari opportunità. La Convenzione sottende, senza nominarlo, il diritto di sessualità, parte integrante della vita delle persone con disabilità che, ancora oggi, rappresenta un vero e proprio tabù della nostra società.
Nel dettaglio, all’articolo n.23 (inerente il domicilio della famiglia), sancisce e tutela il diritto di ogni persona con disabilità, che sia in età per contrarre matrimonio, di sposarsi e fondare una famiglia sulla base del pieno e libero consenso dei contraenti. Non solo: riconosce e tutela il diritto delle persone con disabilità di decidere liberamente e responsabilmente riguardo al numero dei figli e all’intervallo tra le nascite e di avere accesso, in modo appropriato secondo l’età, alle informazioni in materia di procreazione e pianificazione familiare, fornendo i mezzi necessari ad esercitare tali diritti. E, infine, impedisce le pratiche di sterilizzazione, cosa non secondaria, se si considera che essa è attualmente in uso anche in diversi Paesi europei.
Inoltre, all’articolo n.25 (specificamente dedicato alla tutela della salute), al com. 1 let. “a”, stabilisce che gli Stati che ratificano la Convenzione devono: «fornire alle persone con disabilità servizi sanitari gratuiti o a costi accessibili, che coprano la stessa varietà e che siano della stessa qualità dei servizi e programmi sanitari forniti alle altre persone, compresi i servizi sanitari nella sfera della salute sessuale e riproduttiva e i programmi di salute pubblica destinati alla popolazione».
Lovegiver: la figura dell’assistente sessuale
Il sesso è uno dei bisogni fisiologici per la sopravvivenza dell’uomo, uno dei più alti nella scala da soddisfare, ovvero quello più importante per la sua sopravvivenza.
Non è facile, però, scavalcare il pregiudizio che porta a pensare alla persona con disabilità intellettiva come individuo “diverso” incapace di vivere la propria vita in modo indipendente, amore compreso, nonostante la propria situazione cognitiva.
Per una persona con disabilità, infatti, la sfera sessuale risulta spesso inaccessibile e questo può essere motivo di forte frustrazione. Per tale motivo, nasce la figura del lovegiver, letteralmente “donatore d’amore”, nonché l’assistente sessuale. Questa figura, ancora molto discussa in Italia, mira alla formazione di un professionista di qualsiasi orientamento sessuale che, preparato da un punto di vista teorico e psicocorporeo sui temi della sessualità, aiuta la persona con disabilità fisico-motoria e/o psichico/cognitiva e/o sensoriale a vivere un’esperienza affettiva, erotica e sensuale volta alla scoperta di sé e dell’altro.
Il compito principale del lovegiver, quindi, è quello di supportare le persone con disabilità nella sperimentazione della propria sessualità e dell’erotismo educando alla sessualità e all’intimità così da indirizzare verso una consapevolezza dei propri desideri, bisogni, emozioni e sensazioni.